Nel nostro lavoro con gruppi di genitori adottivi ci è capitato più volte di sentire alcuni di loro affermare che con l’arrivo dei figli adottivi è cominciato per tutta la famiglia l’anno zero.
Intendevano dire che con l’arrivo dei tanto desiderati figli finalmente ci si può iniziare a pensare come una vera famiglia a tutti gli effetti. Da quel preciso istante inizia una nuova vita per gli adulti e per i bambini. Tutti con lo stesso cognome, a sancire un’unità, una nuova identità collettiva: “la famiglia Rossi”.
Si inizia a ragionare da famiglia e a comportarsi da famiglia, nulla di strano o di sbagliato; in fondo è per questo che si è scelta la strada dell’adozione. Nulla di strano, fino a quando non iniziano ad arrivare dei segnali, inizialmente velati, poi via via sempre più forti, di crisi di questa identità, che fanno tremare le fondamenta del sistema familiare stesso.
“Tu non sei mia madre e quindi non puoi darmi ordini!”, “Voi mi avete rapito dalla Colombia/India/Ucraina”, “La festa della mamma è per me un giorno molto triste”, “Voglio andare a vivere in una casa famiglia”. Queste sono solo alcune delle affermazioni più forti raccolte dai racconti di queste famiglie.